2021-09-05 09:11:04
Dominique Venner e la formazione militante.
Senza la militanza radicale della mia gioventù, senza le speranze, le illusioni, le defezioni, le vigliaccherie, le bassezze, i complotti un po’ folli, la prigione, le sconfitte, i colpi duri, ma anche senza gli ammirabili slanci di fedeltà a cui ho assistito, senza questa esperienza eccitante e crudele, mai sarei potuto divenire lo storico riflessivo che sono.
È l’immersione totale nell’azione, con i suoi aspetti più sordidi e più nobili, che mi ha forgiato e mi ha fatto comprendere la storia dall’interno, al modo di un iniziato, e non come un erudito ossessionato da insignificanze o come spettatore idiota di apparenze.
Dominique Venner
A soli quindici anni Dominique Venner provò ad arruolarsi nella Legione Straniera alla volta dell’Indocina, ma venne tradito da un amico e “pizzicato” dalla polizia.
Ci riprovò a ventuno anni - questa volta con successo - in occasione della guerra d’Algeria: diventò sergente e si conquistò una medaglia, combattendo duramente nella “caccia all’uomo” che i francesi condussero sulle montagne al confine con la Tunisia.
Per comprendere cosa abbia rappresentato la guerra d’Algeria per questi uomini è necessario calarsi nello spirito del tempo.
L’Europa intesa come Civiltà, forte della propria identità millenaria e della propria centralità geopolitica, aveva subìto una potentissima battuta d’arresto con la fine del secondo conflitto mondiale: cancellati i vinti e assoggettati alcuni dei vincitori, le due superpotenze mondiali - Stati Uniti e Unione Sovietica - smembravano il Vecchio Continente a Yalta, dismettendone il prestigio politico e compromettendone il primato economico.
La battaglia per la difesa dell’Algeria francese, allora, rappresentò il materializzarsi di una resistenza fisica, culturale e spirituale al baratro della dissoluzione: era la necessità di mantenere uno “spazio vitale” che andava al di là della mera convenienza coloniale di Parigi.
Si trattava, a tutti gli effetti, dell’ultimo brandello d’Europa: un simbolo che si reputava di dover difendere con le unghie e con i denti, contro ogni pronostico e ogni diffidenza.
Quel nazionalismo rivoluzionario, capace di contemplare orizzonti più vasti della mera retorica patriottarda e borghese, si incarnava nella durissima controguerriglia messa in campo dai paracadutisti francesi nella kasbah di Algeri.
Esemplare per la comprensione dell’impatto antropologico che quella guerra produsse in quei giovani soldati sono le parole di Clemente Graziani che, in «La guerra rivoluzionaria», scrive:
In quella guerriglia si attua la formazione di un tipo umano altamente spersonalizzato, scevro da sentimentalismi e pregiudizi borghesi, in grado di affermare i valori imperituri della Tradizione e i caratteri di una spiritualità eroica anche in un’epoca dominata dal nichilismo della meccanizzazione e dalla rarefazione dei princìpi metafisici.
Testo tratto dal saggio introduttivo di Marco Scatarzi al testo “Che cos’è il Nazionalismo?” di Dominique Venner edito, insieme a “La guerra rivoluzionaria” di Clemente Graziani, da Passaggio Al Bosco Editrice.
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